“Livorno Città di Teatri”: dal 1658 alla fine dell’Ottocento furono molti i teatri costruiti sul territorio livornese. Uno di questi, il Goldoni, è arrivato ai nostri giorni, sopravvivendo ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, altri sono scomparsi o ne rimangono solo tracce come il San Marco.
Da mercoledì 15 febbraio, alle ore 16, grazie ad un ciclo di conferenze ad ingresso libero in programma al Teatro Goldoni (Sala Mascagni) condotte da un musicologo ed esperto teatrale quale Fulvio Venturi, Presidente del Circolo Musicale Galliano Masini di Livorno, sarà possibile conoscerne la storia, i fasti, la sorte, con l’ausilio di immagini, notizie e aneddoti, sempre con interessanti riferimenti alla vita artistica e sociale del loro tempo. Un viaggio che dal passato arriverà ai giorni nostri in quattro tappe (prossimi appuntamenti il 23 febbraio e l’1 e 22 marzo), ogni volta con un particolare focus su uno di essi.
“E’ vero – spiega Venturi – Livorno era ricca di Teatri, una particolarità dovuta anche all’assetto politico della città con il suo porto franco, la presenza di popolazioni ospiti, di interessi culturali molteplici; questi aspetti favorirono l’esigenza e la percezione dei teatri come luogo di svago ma anche di frequentazioni, incontri e scambi non solo sociali, ma soprattutto economici, politici e culturali. Non è stato infrequente perciò che tali teatri siano stati costruiti spesso e retti con fondi provenienti dalle diverse “nazioni” che si trovavano sul territorio livornese”.
Si comincerà così dal Teatro di San Sebastiano, il primo dei teatri pubblici livornesi. Inaugurato nel 1658 come Stanzone delle Commedie nelle vicinanze del porto con lo scopo di fornire a chi giungesse a Livorno via mare ulteriori attrattive, questo teatro ebbe un notevole impulso a cavallo del 1700 in virtù dell’interesse del principe Ferdinando de’ Medici, figlio del granduca Cosimo III, e diventò uno dei palcoscenici più rinomati in Europa. Qui Carlo Goldoni incontrò il capocomico Giuseppe Medebach all’inizio della sua attività di commediografo, qui i grandi cantanti dell’epoca si avvicendarono regolarmente e si stabilì la grande tradizione livornese nei confronti del melodramma. E qui, nel 1778, colse anche una vibrante affermazione la celebre cantante livornese Celeste Coltellini, figlia di quel Marco nella cui tipografia fu stampata una edizione dell’Enciclopedie di Diderot. Dunque tutta la storia più fulgida della Livorno luminista e liberale del Settecento passò da questo teatro. Chiuso nel 1781 per fare posto al Teatro degli Avvalorati, l’edificio che ospitò il San Sebastiano fu trasformato in pubbliche abitazioni e, ulteriormente modificato, scomparve dalla mappa cittadina con gli sventramenti del 1923.
Programma
L’argomento della prima conferenza (15 febbraio) è il Teatro di San Sebastiano, il primo dei teatri pubblici livornesi. Inaugurato nel 1658 come Stanzone delle Commedie nelle vicinanze del porto con lo scopo di fornire a chi giungesse a Livorno via mare ulteriori attrattive, questo teatro ebbe un notevole impulso a cavallo del 1700 in virtù dell’interesse del principe Ferdinando de’ Medici, figlio del granduca Cosimo III, e diventò uno dei palcoscenici più rinomati in Europa. Qui Carlo Goldoni incontrò il capocomico Giuseppe Medebach all’inizio della sua attività di commediografo, qui i grandi cantanti dell’epoca si avvicendarono regolarmente e si stabilì la grande tradizione livornese nei confronti del melodramma. E qui, nel 1778, colse anche una vibrante affermazione la celebre cantante livornese Celeste Coltellini, figlia di quel Marco nella cui tipografia fu stampata una edizione dell’Enciclopedie di Diderot. Dunque tutta la storia più fulgida della Livorno luminista e liberale del Settecento passò da questo teatro. Chiuso nel 1781 per fare posto al Teatro degli Avvalorati, l’edificio che ospitò il San Sebastiano fu trasformato in pubbliche abitazioni e, ulteriormente modificato, scomparve dalla mappa cittadina con gli sventramenti del 1923.
Nella seconda conferenza (giovedì 23 febbraio) Fulvio Venturi parlerà del Teatro degli Avvalorati, il più glorioso dei teatri livornesi. Questo edificio fu inaugurato nel 1782 come “Teatro Nuovo”; esso, infatti, fu costruito per sostituire a Livorno il Teatro di San Sebastiano, ritenuto ormai insufficiente. Il Teatro Nuovo assunse poi la denominazione definitiva, con la quale è ricordato, nel 1790, dopo che l’Accademia degli Avvalorati, ne acquistò l’immobile. Per quanto s’ignori il nome dell’architetto che disegnò l’edificio, il Teatro degli Avvalorati ebbe interni eleganti, ben congegnati e funzionali per i tempi, nonché una raffinata cavea, impreziosita dalle pitture di Giuseppe Maria Terreni, sulla quale si affacciavano quattro ordini di palchi. La cronistoria di questo teatro è avvincente, i personaggi di gran livello che si sono avvicendati sulle tavole del suo palcoscenico sono veramente moltissimi, sia nel campo dell’opera lirica che in quello della prosa. Il periodo aureo di questo teatro si colloca tra il 1790 ed il 1840, quando la sua attività si arricchì di alcune “prime” assolute ed il suo albo d’oro dei nomi di grandi artisti come Luigi Marchesi , Elizabeth Billington e Giuseppina Grassini. L’edificio fu duramente colpito nel corso di un bombardamento aereo avvenuto il 28 maggio 1943 e definitivamente abbattuto nel dopoguerra.
Sul luogo ove si innalzava oggi scorre l’omonimo viale.
La terza conferenza (mercoledì 1 marzo) sarà dedicata al Teatro San Marco ed al Teatro Rossini. Se un teatro è rimasto nell’immaginario dei livornesi come il più bello, il più importante che sia stato edificato nella loro città, esso è il Carlo Lodovico posto in San Marco. Attivo dal 1806, col nome presto vulgato in “San Marco”, il teatro appartenne all’Accademia dei Floridi, e la sua costruzione avviata nel 1803. Fastosamente completato ed artisticamente ornato dal pittore Luigi Ademollo, con episodi dalle Metamorfosi di Ovidio e della storia di Roma fu inaugurato il 27 aprile 1806, con la messa in scena dell’opera I baccanali di Roma alla presenza della Regina d’Etruria e del giovane figlio Carlo Lodovico cui il teatro fu dedicato. Il “San Marco” ebbe una vita artistica affascinante anche se piuttosto travagliata e quando era ormai in disuso passò definitivamente alla storia per avere ospitato, nel gennaio 1921, l’assemblea durante la quale fu fondato il Partito Comunista Italiano. Il Teatro Rossini fu invece inaugurato nel 1842. Disponeva di una sala molto elegante, impreziosita da quattro cariatidi dello scultore Giovanni Dupré ed era piuttosto ridotto. Sotto questo profilo, essendo particolarmente adatto alla recitazione, ospitò i più grandi artisti di prosa. Come il Teatro degli Avvalorati, sia il San Marco che il Rossini furono colpiti dalle bombe e dopo polemiche più o meno lunghe ed articolate non furono più adibiti alla loro funzione primigenia.
Infine, il 23 marzo, la conferenza sarà dedicata interamente al Teatro Goldoni, unico superstite dei grandi teatri livornesi e attuale vanto della città. Oltre agli aspetti storici e artistici ogni conferenza sarà integrata dalla proiezione di immagini sia dei teatri che delle zone dove furono edificati e con confronti allo stato attuale.
Fulvio Venturi, nato e cresciuto a Livorno, è stato consulente artistico per la Fondazione Goldoni dal 2005 al 2012; direttore artistico ed organizzatore di rassegne e spettacoli lirici, già componente del CdA dell’Istituto musicale Mascagni di Livorno, svolge un’intensa attività di saggista, essenzialmente nel genere musicologico, con collaborazioni con importanti Teatri ed istituzioni in Italia ed all’estero.
Notevole negli anni la sua produzione e ricerca sul massimo compositore livornese, al quale ha dedicato la sua ultima opera editoriale “Mascagni e le sue opere/ and his operas”, il primo libro bilingue su Pietro Mascagni, uscito recentemente con la pregevole Casa editoriale Sillabe di Livorno.